Hai mai pensato al paradosso dell’ascolto?
Sì, proprio così. Ascoltare sembra un’azione semplice. Quasi automatica. Eppure nasconde un universo complesso di attivazioni, azioni
e reazioni. Di significati svelati. Rivelati. Se stai realmente svuotando la mente per accogliere questo, sei su una strada risolutiva. Se invece la tua voce interna sta già riportando i contenuti delle prime righe a quanto già pensi e sai dell’ascolto, stai agendo il paradosso dell’ascoltare. Il vero ascolto non è certo questione di orecchie aperte. Di buona disposizione. Ovvero di posizione disponibile. È la capacità di tacere e far tacere le comunicazioni interne che accompagnano le informazioni esterne. Almeno quando e quanto serve farlo.
Oggi la comunicazione è istantanea, globale, incessante. Sovradimensionata rispetto alle nostre risorse. E paradossalmente mai come oggi ognuno è al centro del proprio universo di incomprensione. Abbiamo dimenticato l’arte dell’ascolto autentico? Quello che richiede presenza, attenzione, empatia. Che ci porta a ri-conoscere le differenze. Quello che ci mette in contatto profondo con l’altro. E, allo stesso tempo, con noi stessi. E qui casca il comunicatore.
L’ascolto non è solo porta d’accesso alla conoscenza dell’altro e del mondo. È portone d’ingresso e tappeto rosso alla conoscenza di sé. Per aprire questo varco dobbiamo prima liberarci dei nostri pregiudizi, delle nostre certezze granitiche, di quell’arroganza sottile che ci fa credere di avere già tutte le risposte. Quindi, una volta spalancato uno spiraglio sul nostro Sé ecco alzarsi a guardia muri di parole non pronunciate che rinforzano la propria zona confortevole e autodifensiva.
Ascoltare è processo impervio, che richiede umiltà e coraggio. E se non ci si chiede, anche ora rileggendole, cosa significhino umiltà e coraggio stiamo esercitando il paradosso dell’ascolto scritto, della lettura inconsapevole. Il coraggio di ammettere che non sappiamo tutto. O che forse quello che andiamo ripetendo con tanta solidità non lo ascoltiamo nemmeno noi. Per non esporci a dover ammettere che «non ci stavamo ascoltando».
Socrate è morto e il suo so di non sapere vale come epigrafe della relazione. Frase da cioccolatino filosofico più che monito per motivarsi a riconoscersi nella propria ignoranza.
Di fronte all’apparente consumabilità del sapere che meraviglia, che stupisce, che spettacolarizza, quanti farebbero un mezzo passo indietro per poter avanzare davvero? Quanti invece si rifugiano nelle proprie convinzioni a forma di bolla, evitando accuratamente qualsiasi confronto che possa metterli in discussione? Quanti sacrificano il meglio perché vissuto come nemico del «proprio bene»?
Non è solo questione di bias di conferma. Cerchiamo – più nolenti che volenti – informazioni e opinioni che rinsaldino sempre più le nostre idee preesistenti, certo. Scartiamo tutto ciò che potrebbe contraddirle o anche solo minacciarle, sicuro. Preferiamoi meccanismi rassicuranti anche se limitanti rispetto al rischio di avere torto, come no. Probabilmente è anche e soprattutto questione di arroganza. Di quell’atteggiamento che si manifesta con un costante disdegno e un’irritante altezzosità. Di quel senso di superiorità nei confronti del prossimo tuo. Che altro non è che ciascuno di noi al secondo ascolto, se ci prendiamo la fatica di ascoltarlo.
Possiamo rompere questo circolo vizioso?
Sì. In modo semplice e non facile. Attraverso un ascolto che non sia mera attesa del proprio turno di parola: caratteristico di quel silenzio di chi ascolta il proprio interlocutore e lo riempie mentalmente con la riorganizzazione delle proprie cose da dire qualche secondo dopo la fine di quello. Un ascolto che sia autentica volontà di comprendere l’altro e la sua identità. Un ascolto che richiede silenzio interiore, sospensione del giudizio, apertura mentale. Merce rara. E con molti dazi.
L’ascolto paradossale, in una conversazione, è abitudine diffusa. Ma deleteria. Ci priva della possibilità di ampliare i nostri orizzonti. Di stabilire connessioni profonde. Eppure, senza ascolto schietto è impossibile creare qualcosa di veramente nuovo e significativo. Restiamo confinati nel già noto, nel prevedibile, nel limitato recinto delle nostre certezze. E non è forse questa la tomba della creatività generativa?
Ascoltare non significa accettare passivamente tutto ciò che ci viene proposto. Significa instaurare un dialogo. Autentico. Significa essere disposti a rivedere le proprie posizioni alla luce di nuove informazioni. Ed esser disposti a condividere le proprie idee in modo costruttivo. Non predatorio, come troppo spesso oggi accade.
Bisogna riscoprire l’onestà del dubbio. Non come fonte di paralisi o incertezza cronica. Il dubbio come motore di ricerca sincera. Il dubbio che ci spinge a verificare, a capire. A non accontentarci delle apparenze. Che ci libera dalle gabbie dell’arroganza e dell’autosufficienza. Ovvero del farsi bastare a se stessi.
Come allenarci all’ascolto autentico?
Con il tempo e l’attenzione dedicati alle persone che incontriamo, soprattutto nei nostri luoghi di lavoro, di relazione sociale, di affetti
personali. Con la sospensione del flusso incessante dei nostri pensieri autogratificanti. Con l’esercizio della focalizzazione sull’altro da noi. Con domande potenti, sincere, interessate. Con spirito d’accoglienza.
L’ascolto è paradossale in quanto atto rivoluzionario. Parte da sé, per comprendere l’interlocutore. E torna a sé e per comprendere il proprio Sé. Per questo è emotivamente faticoso. Per alcuni insopportabile come lo è il riconoscere i propri debiti. Non contraddittorio per chi sceglie di lasciar risuonare il rumore – interno ed esterno – invece che lasciarsi sorprendere dalla voce dell’altro. Né per chi ignora quelle voci che minano la visione e l’amor proprio. La capacità di essere altro nasce dalla capacità di ascoltare. E ascoltare, in fondo, è il primo atto creativo verso la costruzione di un mondo migliore.
La prossima volta che ci troviamo di fronte al nostro interlocutore, proviamo a fare un piccolo esperimento: ascoltare senza farsi interrompere dal proprio dialogo interno. Non giudicare. Sostituire il silenzio attivo alla preparazione della risposta. E osservare cosa
accade. Potremmo rimanere sorpresi. E scoprire che, vincendo l’ascolto paradossale, stiamo avviando una comunicazione augurale. Di certo, il primo passo. Io ti ascolto. Tu mi ascolti. Ecco il vero potere della creatività: trasformare l’ascolto in azione. L’incontro in crescita. Il dubbio in ricerca. La parola in silenzio.
Questo contributo per TouchPoint Magazine è presente nel nr. 3 di marzo 2025.
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