In questo periodo lo si capisce a naso. Non solo perché diventa più freddo e tendente al rosso. O esplode in starnuti incontrollabili, come ne fosse allergico. È un meccanismo di difesa naturale, si sa. Lo si capisce dal profumo inconfondibile che aleggia a mezz’aria.
E poi lo si intuisce pure a occhio. Sì, perché siamo più attenti ai particolari, non l’avete notato anche voi? Nulla sfugge alla nostra attenzione. O almeno così crediamo, ma questa è un’altra storia. D’altra parte, con quel costume così riconoscibile non è tanto da un particolare che lo si giudica. Anche se chi se li trova davanti – perché son sempre più d’uno – ne scruta anche il più piccolo segnale che riveli minacce di fregatura. O promesse di vantaggi sorprendenti.
Ma anche tendendo l’orecchio si comprende che è giusto dietro l’angolo. Un tintinnio continuo. Insistente e persistente. Un musica già sentita, più e più volte. Anzi, sempre: ogni volta che arriva. Un tormentone, possiamo dirlo. Un suono caratteristico che conosciamo bene. Ormai è una tradizione, dicono in molti. Anche se altri non son d’accordo. Ma ci credono lo stesso.
Arrivano i buoni
Insomma, lo si capisce: a Natale arrivano i buoni. Anzi, sempre più buoni. Ogni negozio, ogni supermercato, ogni bancarella del paesello abbellito a festa ne offre almeno uno. Basta avere naso per gli affari. Occhio per i messaggi pubblicitari. Vestiti sempre uguali tra sottrazioni, moltiplicazioni, percentuali e prezzi ribassati. E l’orecchio educato. A resistere ai jingle di seducenti sirene del mercato capaci di risucchiare meglio di Cariddi.
Si avvicinano le festività natalizie. Con i loro riti e virtù. E annunciati dagli economisti classici, arrivano i buoni affari. Perché la riduzione dei prezzi spinge al consumo, dicono. Gli sconti spingono al consumo, dicono. La massimizzazione dell’utilità spinge al consumo, dicono.
E in tutto questo spingi-spingi passano avanti le nostre decisioni irrazionali, altro che buoni affari. Dicono gli psicologi del consumo.
Partecipare a un rito consumistico, affaticarsi nelle gare all’ultimo sconto, svalutare l’impatto di un piccolo acquisto dopo averne fatto uno grande, o ritenere, per effetto alone, vantaggiose anche offerte svantaggiose: ecco che si scioglie come neve al sole la razionalità delle nostre decisioni. Davanti alla chimera dei buoni affari è come se il nostro sistema cognitivo andasse in black out. Lasciando così spazio di manovra al Black Friday. Per quali motivi, infatti, il 70% della popolazione, e con irrilevanti differenze di reddito, si tuffa negli acquisti in tale occasione? Cosa c’è di razionale nello spendere tempo ed energie nel comprare un prodotto con uno sconto dall’impatto insignificante rispetto al proprio patrimonio? Perché acquistare qualcosa di cui non si ha affatto bisogno? Oggetti tecnologici, accessori di moda, articoli di design messi nel carrello a colpi di clic sono un buon affare? O rappresentano piuttosto un ottimo esempio di quei subdoli e potenti meccanismi psicologici tra i più studiati dagli economisti comportamentali?
Dietro ai buoni affari
Davanti alla possibilità di fare un buon affare, oltre al piacere per l’acquisto esiste un piacere in più. Questo deriva dalla sensazione di aver fatto un affare. E affonda le sue radici nelle dinamiche affettive. Nel sentimento di autostima. Nel potere dell’emotività. È infatti l’esito emotivo del rapporto che esiste tra l’aumento del piacere del possesso del bene e la possibilità di contenere il dolore del pagamento a determinare l’acquisto. Un dolore ridimensionato se percepito come vantaggioso rispetto a un prezzo iniziale. Meglio se barrato con un bel segno rosso come l’abito del suo main sponsor.
Figuriamoci poi quando questo pain of paying è polverizzato con un clic dai pagamenti smaterializzati, dai colpi di clic compulsivi o dai buoni che nemmeno lontanamente ricordano un legame con quel mezzo di pagamento chiamato denaro.
Ma è ancor più l’esito emotivo che si attiva dalla percezione di aver trovato il buon affare a fare la differenza. Comprare a una cifra vantaggiosa provoca nel consumatore un piacere aggiuntivo. Che si somma al piacere dell’acquisto. Fa stare meglio: rinforza la considerazione di sé, fa sentire più scaltri, illude d’essere più intelligenti. E così si crede di diventar più bravi a fare i buoni. Affari.
Forse il Black Friday non si chiama black solo per il colore dell’inchiostro con cui un tempo sui libri contabili s’annotavano i buoni ricavi. Le buone risorse. Forse black è anche il colore della lista in cui oggi s’annotano i cattivi nel mondo dei buoni. Perché sotto la lista dei buoni ci vogliono finire pure quelli che il giorno prima – il giorno del Ringraziamento – si son dimenticati di ringraziare. Facendo la figura dei cattivi. E quale miglior occasione di recuperare ingraziandosi il cielo attraverso questo rito collettivo del credito?
Forse oggi il Black Friday dovrebbe colorarsi di verde. No, non il verde dell’abito originale di quel corpulento e barbuto signore che ispirò il Canto di Natale in cui Charles Dickens rappresentò lo spirito della bontà del Natale. Bontà sua. Verde come il colore del semaforo che comunica il via a una gara consumeristica della durata di intere settimane di sconti, prezzi al ribasso ed emozioni al rialzo. E a tempo. Che con l’avvento di Internet il suo mercato è ritmato dalle scadenze dei Cyber Monday, i Shopping Thursday, i Gift Wednesday, i Sold-out Tuesday. Che mica c’è tempo per vivere l’altro avvento. E i guadagni ringraziano. Perché i buoni affari son sempre più buoni per qualcuno.
Tempo di esser cattivi
Oggi non c’è tempo per agire. Presi dalla chiusura dell’anno, dai programmi da definire, dai rapporti da non dimenticare, dagli incontri da recuperare: la mancanza di tempo mette fretta. E un affare appare così un buon affare solo prima che diventi troppo tardi.
E oggi non c’è tempo per pensare. Presi dal fare, dalla necessità di difendersi dalle valanghe d’informazioni, dal gelo delle relazioni, dalle scadenze scottanti da rispettare, dalle influenze del mercato: un pensiero troppo veloce sostiene scelte esclusive che non permettono di pensarci due volte. E un affare appare così un buon affare solo per me. Ora.
Questo è il momento buono per esser cattivi, con se stessi. Allenandosi ad esser insensibili alle sirene del consumo. Maldisposti nei confronti dell’impulso a cedere ai richiami maliardi di bisogni insensati. Per diventare prigionieri di una gabbia di valori comportamentali e relazionali più consapevoli e responsabili. Resistenti alle decisioni volute da altri. E autori invece delle proprie scelte. Egoisti. Per far del bene.
È da questa responsabile consapevolezza che possiamo allora aggiungere una postilla alla nostra letterina da appendere alla stella cometa:
«E per piacere non dimenticare, caro Babbo Natale, di metter sotto l’albero anche le istruzioni perché io possa orientare il mio comportamento in una direzione più sensata. PS: A Natale son tutti più buoni. Assaggiali e vedrai!».
Nota: questo articolo è uscito nella rubrica Creattivamente di TouchPoint Magazine, nr. 10, 2022-23 (pp. 10-11).
Commenti recenti