Del donare e del regalare
Natale, tempo di regali. Oppure tempo di doni? O è solo una questione di termini?
Il verbo regalare proviene da “regale”, ciò che è offerto al o dal re. Rimanda all’idea della “regalità”, del “tributo” da riconoscere a chi ha un ruolo superiore, in quanto appunto “regale”, per merito o status.
Il regalo quindi compensa un debito verso qualcuno nei confronti del quale si debba manifestare riconoscenza.
Ecco che il regalo, in questa e simili ricorrenze simboliche, rappresenta uno strumento di pagamento oggettuale da offrire perché si deve. E lo si rivolge a chi, nella cerchia delle persone familiari o in quella professionale, é ritenuto meritorio al di là della relazione esistente. Al di là perché il regalo non presuppone un investimento affettivo ed emotivo nella dinamica della relazione ma serve a riconoscere in quanto data la relazione. Oppure, al di là quando il regalo va oltre l’investimento affettivo ed emotivo senza considerare questo o “colmandone” il vuoto con oggetti privati di significato relazionale nell’intento di riempire, appunto, le mancanze affettive di una relazione disattenta o disimpegnata.
Il dono, a differenza del regalo, è un investimento di sentimenti nella relazione stessa, che riconosce l’importanza dell’interlocutore verso cui si manifesta una volontà piena di relazione.
Il dono quindi apre un credito verso qualcuno nei confronti del quale s’intende manifestare conoscenza, ovvero un’apertura relazionale, che al tempo stesso è promessa e minaccia di riconoscimento.
E tale ambivalenza si ritrova fin dall’etimo della parola dono. La lingua greca presenta una polisemia dei termini legati al dono: dosis indica infatti l’atto del donare come il dono stesso, ma anche la dose di una sostanza mortale. Nel termine tedesco Gift si riferisce egualmente a “dono” e “veleno”. Nella maggior parte delle lingue indoeuropee, “dare” è espresso da un verbo che presenta la radice dō, che è prossima al verbo ittita dā “prendere”. Ecco che il significato di “dare” o “prendere” espresso dai termini che contengono tale radice – come “dono” e molti altri che si riferiscono allo scambio – viene precisato dal contesto in cui essi sono inseriti. Tale duplice accezione si ritrova in altre lingue e culture: il verbo nehmen – “prendere” in lingua germanica – presenta la radice nem (comune anche al gotico niman) che si riferisce a “ricevere come parte che spetta di diritto” e non a “ottenere” nel senso di “afferrare”. Il tedesco geben “dare” ha la stessa origine dell’irlandese gaibim ovvero “prendere” e “avere”.
Da qui il significato profondo del dono come una richiesta di relazione, un “dare per avere”, per “conoscere” la disponibilità dell’altro a ricambiare e non per “riconoscere” all’altro una relazione già affermata.
Doni cha aprono e regali che chiudono
Il regalo è un atto quantitativo. Si allinea alla dinamica di chiusura della relazione in quanto monetizzazione spinta di un atto valoriale che ha in sé un “prezzo”, un “costo”. L’atto del regalare spesso si configura come comportamento volto a riconoscere un’azione che ricompensa un debito nel tentativo di recuperare un’equivalenza relazionale. Una missione finalmente compiuta che chiude ogni “richiesta” di ulteriore relazione.
Il dono é un atto qualitativo. Il dono apre alla relazione, o meglio alla possibilità della relazione, proprio perché rispetta la volontà dell’altro a rispondere a tale richiesta di relazione privilegiata con sé. Viene dato senza necessariamente essere la risposta a una richiesta – per quanto implicita – ma mette in condizioni il beneficiario di dover, o meglio di poter, restituire la richiesta di relazione. Il dono infatti impegna entrambe gli interlocutori. Con tutto il “costo” affettivo e relazionale che ciò comporta: «Timeo Danaos et dona ferentes», ammonisce Laocoonte davanti al cavallo di Troia.
Regalare qualcosa non investe invece il soggetto di un impegno. Si possono regalare molte cose, con la poca fatica di uno shopping. Donare qualcosa, al contrario, è impegnativo: mette in pegno parte della propria persona, della fiducia, della relazione e con essa rischi e promesse. Per questo si fanno e si ricevono pochi doni: il dono richiede un investimento di tempo, di attenzione, di relazione. Apre una dimensione di empatia con l’altro. Di creatività, ovvero di attività creatrice. E rappresenta una messa in gioco della relazione, una sua verifica. E proprio per questo si espone alla possibilità dell’ingratitudine. Perché il dono non è mai gratuito: il dono contiene in sé la richiesta – implicita e molte volte inconsapevole – di una restituzione, nel rispetto della libertà dell’altro di restituire un contro-dono oppure no.
Il dono, proprio in forza di questo, apre una circolarità nella relazione. Al contrario, il regalo si può ri-ciclare. E anzi il riciclo dei regali soprattutto nei giorni seguenti al Natale diventa un segnale inconfutabile di come un regalo ricevuto non abbia alcun legame con la persona che lo ha regalato. Invero, un dono si cede – se accade – con moltissima sofferenza proprio perché porta con sé una parte importante che appartiene appieno al donatore – il suo mana o hau (spirito) – e che la lega al beneficiario in modo dedicato, univoco e affettivo. Il dono esprime tutta la sua spiritualità del sacrificio affettivo che l’atto della separazione comporta. Ecco che l’oggetto donato è caro non nell’accezione del costo bensì nel senso emotivo del legame affettivo e personale che in esso è insito.
Il costo di un dono e il prezzo di un regalo
Se il regalo può entrare in un percorso di ri-ciclo in cui si perde completamente il legame con l’originale possessore, il dono in quanto simbolo ricorda la totalità cui appartiene: la relazione tra donatore e beneficiario. E in quanto tale, legandosi indissolubilmente con l’unità originaria – il donatore, il bene-fattore – non può subire una scissione di quel circolo magico che ha aperto con il suo passaggio da benefattore a beneficiario.
Pensa agli ultimi regali che hai comprato per qualcuno. Ricorda quanti più particolari possibili ti vengono in mente. E stimola quelli che fai fatica a recuperare alla memoria. Se ora hai ben in mente questi episodi, rispondi alle seguenti domande.
A chi hai fatto questi regali? In che rapporto relazionale eri con i destinatari? Che occasione era? Il regalo era inserito in un “gesto” dovuto (un invito, una ricorrenza o simili)? Ora pensa al valore economico dell’oggetto che hai regalato e al quale stai pensando. Ti ricordi il prezzo degli oggetti regalati?
Regalare e donare conservano qualcosa delle pratiche arcaiche delle “offerte” e dei “sacrifici” cultuali le prime e dei “patti sociali” le seconde. Oggi ne siamo sempre meno consapevoli, avendo iscritto quasi tutti i nostri comportamenti all’intero di una logica economica e commerciale secondo cui un oggetto messo a disposizione viene ricevuto e pagato, in una dimensione lineare e unidirezionale. Ma il denaro pagato per un bene, un servizio o un’interazione personale chiude definitivamente la relazione stessa: e nulla più è dovuto. Nello scambio che precede e non considera la dimensione economica, invece, la transizione apre una relazione.
Pensa a quella volta che hai ricevuto un dono da una persona per te importante. Ricorda quanti più particolari possibili ti vengono in mente. E stimola quelli che fai fatica a recuperare alla memoria. Se ora hai ben in mente l’immagine di tale episodio, rispondi alle seguenti domande.
Cos’hai provato nel ricevere quel dono da quella persona? Hai contraccambiato il gesto a tua volta? E in che modo? O avresti voluto farlo? E perché non lo hai fatto? Ora pensa al valore economico dell’oggetto che hai ricevuto in dono e al quale stai pensando. Il valore del tuo contro-dono, nel caso ci sia stato, ha avuto un valore economico maggiore, eguale o minore?
Il dono è relazione. Chi dona si espone alla libertà di chi riceve il dono di contraccambiare con un contro-dono. Ciò alimenta la relazione: contribuisce a gestire le dinamiche di potere tra chi dà e chi riceve, in una dimensione circolare di scambio. Chi riceve, in realtà, condivide consapevolmente o meno la necessità profonda di ricambiare. Tale restituzione – non richiesta a chi riceve un regalo – si presenta esattamente come una re-istituzione di un legame. Ed è psicologicamente sostenuta dalla corrispondente necessità di rispondere alla condizione di debito in cui il dono proietta il beneficiario, mantenendo viva la relazione. E, dall’altro lato, chi dona si espone al rischio di non essere ricambiato, e quindi di non veder ricambiata la richiesta di relazione. Ma è proprio da questa dinamica in cui il dono si caratterizza per l’assenza di garanzia relazionale che emerge l’importanza della fiducia negli altri. Più chi riceve un dono è libero di ricambiare come, quando e quanto desidera e sente, più chi dona attribuirà valore a tale restituzione proprio perché segnale di volontà di costruire insieme una relazione. In tal senso lo scambio che sostiene la dinamica del dono costituisce il rapporto stesso che sta alla base della relazione interpersonale e sociale.
Liberamente obbligati
Donare significa quindi instaurare relazioni costruite sulla dinamica della fiducia, esattamente al contrario di quanto fa l’utilitarismo dominante in cui il consumatore è considerato un soggetto che persegue i propri interessi, che paga per avere ciò che desidera o necessita. E che vive il dono nella sua errata equivalenza con il regalo. Mentre questo si fa per gli altri, il dono si fa con gli altri. All’interno delle relazioni di scambio il valore del dono attiene a una dimensione inter-soggettiva e relazionale, nella quale ci sentiamo – ma non sappiamo razionalmente – essere liberamente obbligati a ricambiare (La terza faccia della moneta, p. 66 e ss.).
Anche oggi, nella società dei consumi e della mercificazione dei rapporti professionali, l’oggetto donato obbliga colui che lo riceve in un rapporto di dipendenza asimmetrico col donatore. Questa condizione spiega come tutte le relazioni umane implichino in sé la dinamica del credito/debito in cui gli interlocutori coinvolti sono entrambi moralmente compromessi perché colpevoli di esser entrati in relazione tra loro. E da tale dinamica di debito/credito si torna all’idea che regalare e donare non sono sinonimi.
Il dono è un bene relazionale, un atto dove il bene principale non è l’oggetto donato ma la relazione tra chi dona e chi riceve. Per questo nell’atto donatorio la forma conta più della sostanza. La relazione è curata non solo nel cosa viene donato ma anche nel come, quando, dove. Il rito della consegna del dono necessita di tempo, di attenzione, di contatto tra chi dona e chi riceve. L’accoglienza del dono è in sé un’accoglienza della relazione, potenzialmente reciproca, salutare per sé prima che per l’altro, molto spesso consolidante e riparatoria. E la cui cura passa per il prendersi cura della propria terza metà: «A Natale non fare regali per essere più buono. Sii egoista: dona!».
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